Care compagne e cari compagni,

lasciatemlo dire, è un piacere come Partito Comunista essere qui in questo storico luogo per confrontarci con le varie anime della sinistra in un clima fraterno e collaborativo. Grazie quindi per l’invito.

Mi è stato chiesto di ragionare qui oggi sul futuro della sinistra nel nostro paese. Un ragionamento per nulla evidente e che ha effettivamente impegnato il mio Partito negli ultimi anni. Tratterò alcuni temi per noi centrali, cercando di delineare quelli che sono per noi gli aspetti fondamentali per un futuro della sinistra che sappia incidere nella realtà, perché, sì care compagne e compagni, c’è e ci sarà estremamente bisogno di più sinistra.

Innanzitutto la necessità di avere uno sguardo globale, di quello che succede sul piano internazionale, per poter incidere meglio anche nel locale. Era tradizione, nei partiti comunisti di un tempo, partire sempre dal contesto internazionale fino a calarsi poi nella realtà locale: non lo si faceva per puro esercizio intellettuale, ma perché si riconosceva che tutto è infatti interconnesso. Gli equilibri politici interni sono infatti sempre determinati dal contesto internazionale.

In secondo luogo, la necessità di riprendere la battaglia delle idee, contrastando sul terreno l’egemonia economica, politica e culturale dell’avversario, la destra. Non possiamo pensare d’immaginare un futuro della sinistra senza prima chiederci cosa è oggi la sinistra? La sinistra deve ritrovare sé stessa, la sua identità, i suoi strumenti e i suoi metodi di lavoro; è questo l’unico modo per poter ricostruire una sinistra unita e plurale che abbia come priorità quello di tornare a parlare, e a dare soluzioni concrete, ai problemi concreti della nostra base di riferimento. Una base che è lì che attende qualcuno che possa dar loro delle risposte, e non vendere loro lucciole per lanterne, cosa che solo noi, la sinistra, può fare.

Per far questo – care compagne, cari compagni – dobbiamo prendere consapevolezza che oggi, il grande tema inevaso dalla politica, e anche dalla sinistra che invece dovrebbe darle corpo, è il tema del conflitto capitale-lavoro. Perché dietro ogni tragedia, ogni problema, ogni ingiustizia della società si cela questo conflitto. Perché dietro la tragedia dei migranti, vi è questo conflitto, dietro la difficoltà delle famiglie a condurre una vita serena con un salario dignitoso vi è questo conflitto, dietro le forme di precariato vi è questo conflitto, dietro le difficoltà di mandare i figli al liceo o all’università vi è questo conflitto: il conflitto capitale-lavoro. La materialità di queste questioni interroga la politica e la sinistra tutti i giorni: e pone la grande domanda: chi rappresenta oggi, politicamente e nelle istituzioni il mondo del lavoro? Ecco un buon tema su cui cimentarci tutti insieme.

Ma lasciatemi andare subito a mettere il dito nella piaga: se, ad esempio, contro l’ultima aggressione americana alla Siria, fonte di distruzione, destabilizzazione e tragedia umana, se a condannare tale attacco, tra le forze parlamentari nella vicina Italia si esprime solo il leghista Salvini mentre a sinistra si è stati zitti o quasi, è evidente allora che c’è un grave problema di priorità e di identità. Non è forse il tema della pace, un tema fondante per la sinistra? Altro esempio: possiamo dire che le recenti dichiarazioni contro la Palestina del ministro Cassis necessiterebbero di una forte reazione da tutta la sinistra svizzera? Non riconoscere il pericolo che il sionismo rappresenta per la sicurezza internazionale e per la stessa indipendenza del nostro Paese significa non riuscire ad emanciparsi dalla collocazione atlantista che sta portando il mondo alla catastrofe.

La collocazione internazionale è importante perché il futuro è il multipolarismo, cioè la cooperazione pacifica coi paesi emergenti, mentre una scelta eurocentrica ed atlantista è, ci piaccia o meno, già sorpassata dagli eventi e i lavoratori del nostro Cantone la detestano a ragione, a ragione perché hanno sofferto sulla loro pelle quello che significa: austerità, guerra fra poveri e privatizzazioni.

La guerra è oggi una costante che ci deve preoccupare, certo, ma non solo: la crescita di una destra sempre più aggressiva è sotto gli occhi di tutti e mai come oggi c’è bisogno di una sinistra che porti avanti l’ideale socialista e comunista. Questa destra cresce perché strumentalizza i flussi migratori: l’immissione nella società occidentale di milioni di migranti che assumono dentro di sé la contraddizione classica capitale-lavoro ma anche la contraddizione nord-sud: paesi poveri – paesi ricchi, e cioè sono il simbolo dello sfruttamento del capitalismo odierno. E richiedono un ripensamento radicale della società contemporanea. Mi si permetta su questo aspetto di citare l’ex-ministro italiano Oliviero Diliberto, un amico e nostro membro onorario – dice: “Non è possibile che noi a sinistra si ragioni rispetto ai migranti con la testa della Caritas perchè noi non siamo la Caritas!”. Noi siamo partiti comunisti e socialisti e dobbiamo ragionare con le nostre categorie scientifiche, perché quella dei migranti è una contraddizione di classe, non di carità! Lo stesso vale per i diritti civili, che non devono prevalere sui diritti sociali altrimenti ci spostiamo nel campo culturale del liberalismo, e abbandoniamo il campo culturale del socialismo!

Badiamo – care compagne e cari compagni – badiamo bene che se un lavoratore, un giovane precario, un disoccupato ha interiorizzato l’idea che la risposta ai suoi problemi può essere solo di tipo individuale, e che quando la risposta è collettiva è di fatto la guerra tra i poveri da un lato, contro i poverissimi dall’altro, beh allora vuol dire che la sinistra ha già perso. E non si può far finta di nulla, dobbiamo capire cosa la sinistra ha sbagliato negli ultimi 20 anni. Ma questi consensi che da sinistra sono finiti a destra non li recupereremo di certo né con le illusioni né con slogan roboanti di sterile retorica anti-capitalista. Lo si fa parlando dei temi veri, costruendo forme di unità popolare.

In Ticino e non solo sta prevalendo la scelta della politica urlata, quella che più che urlare squittisce, e il problema è che essa sta emergendo persino a sinistra: diciamolo subito che essa non ha alcun valore progressivo! Distruggere oltremodo la credibilità delle istituzioni quando non esistono rapporti di forza per costruirne di altre e più avanzate, apre le porte a quel sentimento di anti-politica che è alla base di fenomeni reazionari contro cui sia Guglielmo Canevascini sia Pietro Monetti avevano avvertito. Riportare al centro la serietà del parlamento è oggi una battaglia di sinistra, chi invece lo rende un circo sbaglia ed è complice del qualunquismo!  Badate che se tale discredito verso i politici continuerà a crescere, se i partiti non saranno più percepiti come strumenti di partecipazione, allora il rischio è altissimo. Perché una democrazia senza partiti non è una democrazia. I politici non sono tutti uguali, e noi dobbiamo con forza rivendicare questa diversità!

Quello che sentiamo è un clima negativo. In vista del voto dell’aprile 2019 in molti sappiamo che la sinistra – in tutte le sue componenti: da quella socialdemocratica a quella marxista, passando da quella ecologista – rischia di uscirne con le ossa rotte.

Eppure invece di reagire, invece di provare a costruire ponti fra di noi, ci si ostina a piangersi addosso e a ragionare a compartimenti stagni, senza però avere il coraggio di cambiare rotta pur sapendo che si rischia di andare a schiantarsi tutti quanti. Una sinistra fatalista è esattamente quello di cui non abbiamo bisogno, è esattamente quello per cui non hanno lottato i martiri della guerra di Spagna che proprio in questo luogo ricordiamo.

E allora – care compagna e cari compagni – ragioniamo sul che fare! Dobbiamo riuscire a interpretare fino in fondo la realtà della società nella quale operiamo e la prima cosa che salta all’occhio è che la sinistra deve oggi ritrovare la sua base, quella popolare, quella che è finita a votare Lega per i suoi slogan pseudo-sociali e che in tutta Europa e anche negli Stati Uniti è finita nelle braccia di Trump.

La sinistra deve insomma ritrovare se stessa, la sua identità, riscoprire le sue tradizioni, non certo per nostalgia o per folklore, ma per riprendere gli strumenti di analisi e quindi di proposta che erano propri delle nostra cultura politica e che il “nuovismo” e gli opportunismi ci hanno fatto scordare nel tempo. Il “nuovo” fine a sé stesso, la retorica – lasciatemelo dire – continua e insopportabile della necessità di voler interiorizzare e portare a sinistra valori e proposte dell’avversario, cioè la destra: tutto ciò non porta voti nuovi, tutto ciò è semplicemente mortale.

Bisogna dare spazio ai giovani, come ha fatto il Partito Comunista, ma questo non significa cedere alla moda giovanilista. C’è un antidoto a ciò: si chiama solida formazione politica che superi l’idea di una sinistra meramente amministrativa del presente. Formando nuovi quadri politici si contrasta sul terreno l’egemonia dell’avversario. Non è un caso – care compagne e cari compagni – se il Partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer era molto attento alla formazione, perché serviva proprio a contrastare l’avversario sul terreno della conoscenza, perché se non hai un tuo pensiero politico forte e strutturato sei destinato a sparire.

Senza radici però non viene fuori nessun futuro e le radici sono le bandiere che vedo esposte qui, molte delle quali riportano con fierezza i simboli del lavoro contadino, la falce; e del lavoro operaio, il martello. La centralità del lavoro non può venir meno insomma e i nostri lavoratori vanno ascoltati, non trattati con altezzosa superiorità.

 Bisogna uscire dalla trincea delle rispettive nicchie per guardare ad un orizzonte più ampio: il Partito Comunista da anni ripete la propria vocazione unitaria, anche il Partito Socialista deve fare ora questo sforzo e non credersi autosufficiente pensando che alla sua sinistra tutto gli sia dovuto.

Per strappare più risultati, occorre più sinistra, ma nell’ambito dell’unità. Non si può chiedere a un socialdemocratico di aderire ad una cosa che si chiama “comunista”, ma nel contempo perché si dovrebbe chiedere a un comunista di aderire ad un progetto che si chiama socialista? Partiamo dalle cose da fare, costruiamo un’unità nel rispetto delle reciproche identità, e se troveremo un accordo si andrà avanti insieme.

La sfida è difficile – care compagne e cari compagni – abbiamo bisogno di tutti e in fondo è così in tutta Europa: laddove si riesce ad aggregare chiunque voglia combattere lo sfruttamento di essere umani su altri esseri umani, si ottengono risultati importanti. Altrimenti vincerà la borghesia come sempre! Se sapremo coniugare tradizione e innovazione allora saremo utili, ma non utili per noi stessi, utili alla classe sociale che vogliamo rappresentare. L’unità non deve servire a noi, deve servire ai lavoratori e alla popolazione tutta. L’unità ci da più forza, perché non basta avere ragione, bisogna avere la forza / per far valere la ragione.

Grazie.

Discorso alla Festa del Ceneri

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