Piccoli commerci, agricoltori e artigiani locali soffrono il peso della concorrenza dei grandi marchi internazionali, che diventa sempre più insostenibile. Schiacciati dalla sproporzione, molti sono costretti a chiudere la loro attività. Il risultato? La perdita di prodotti e servizi di qualità, così come della tradizione familiare trasmessa da generazione in generazione. Si intensifica così la concentrazione in poche grandi mani di settori importanti dell’economia ticinese come quello alimentare e dell’artigianato. Il Partito Comunista (PC) si prefigge di invertire immediatamente questa tendenza.
Si tratta di valorizzare nei fatti, e non sono a parole, queste coraggiose realtà. Il “laissez-faire” dei partiti di governo, che tanto si professano paladine dell’imprenditorialità ticinese, sono i primi responsabili di questa situazione perché rei di continuare a lasciare mano libera al mercato di mietere le sue vittime.
Diversamente da quanto comunemente si possa pensare, il PC conosce bene, ed è molto vicino, alle realtà delle piccole e medie imprese (PMI). Nelle sue tesi politiche approvate nel Congresso del 2016, il PC riconosce come le PMI soffrano tanto quanto i lavoratori lo strapotere delle grandi aziende globalizzate. La loro salvaguardia può dunque avere un effetto progressivo per la società. Nella pratica, i comunisti svizzeri sono stati direttamente artefici dello sviluppo di molte piccole attività. Nel dopoguerra e per tutto il periodo della guerra fredda, a molti militanti comunisti erano negate le possibilità di assunzione nel settore pubblico e privato. A conseguenza di questo “Berufsverbot” molti dirigenti comunisti dovevano arrangiarsi aprendo e gestendo le proprie attività artigianali e commerciali, le quali sono state spesso tramandate di padre in figlio.
Frutto di questa decennale tradizione, nel suo programma politico, il Partito Comunista presenta delle soluzioni concrete: il divieto di costruzione di nuovi grandi centri commerciali per frenare la concorrenza con i piccoli negozi, una riforma di BancaStato a favore degli interessi del tessuto produttivo locale elargendo più micro-credito, la formulazione di “nuova LIA” che non discrimini i piccoli artigiani locali, ma che blocchi le aziende che calpestano i diritti dei lavoratori, la promozione dell’agricoltura locale attraverso il raggiungimento della sovranità alimentare nonché di una dieta sostenibile a chilometro zero in tutte le strutture pubbliche (ospedali, scuole, ecc.)
Esistono anche altre soluzioni innovative e di successo che possono rilanciare queste realtà: Il co-working, ad esempio, permette a professionisti, commercianti e artigiani di lavorare nello stesso ambiente con il vantaggio di condividere i costi d’affitto, ampliare gli scambi di vedute, promuovere la discussione e le idee innovative, nonché offrire ai cittadini uno spazio condiviso dove sono offerti prodotti complementari. Il diffondersi sul territorio di piccoli e grandi “mercati coperti”, luogo d’incontro tra popolazione e produttori locali, non solo è una soluzione auspicabile per rilanciare la crisi di quest’ultimi, ma potrà favorire la qualità e il ritorno al contatto umano fra cliente e venditore: tutto a beneficio di un migliore stile di vita.
Quest’idea “rivoluzionaria” può consentire inoltre ai giovani, che hanno meno mezzi economici, di mettersi alla prova e lanciare la propria attività.