di Alessandro Lucchini (consigliere comunale di Giubiasco) e Massimiliano Ay (deputato in Granconsiglio), Partito Comunista
Qualche mese fa leggevamo un articolo dell’ex-primo ministro italiano Romano Prodi: analizzando i movimenti demografici che riguardano il suo Paese, Prodi constatava come gli italiani residenti all’estero fossero aumentati di quasi il 50% in dieci anni. Osservando i dati da un punto di vista qualitativo la situazione gli appariva ancora più preoccupante poiché il 60% degli italiani che emigrano è costituito da laureati: “sono medici, ricercatori e professionisti che progressivamente hanno superato in numero la tradizionale emigrazione di braccianti o camerieri. Sono decine di miliardi di euro spesi nella formazione di risorse umane di livello elevato che portano all’estero i frutti di questa loro preparazione” si lamentava Prodi. I lavoratori che entrano invece in Italia sono “a basso livello di specializzazione”.
Sul mezzo milione di aziende italiane dirette da persone con un background migratorio verso l’Italia va detto – spiega sempre l’ex-leader del centro-sinistra – “la quasi totalità di queste imprese opera nel piccolo commercio, nella ristorazione, nell’edilizia e nei servizi più elementari”. Insomma in quei settori definiti a basso valore aggiunto. Prodi concludeva che senza un rinnovamento sul piano della formazione e soprattutto della programmazione economica il suo Paese si stava dirigendo su una via sostanzialmente “autodistruttiva” e in una “spirale di decadenza”.
Il Canton Ticino e in esso la Nuova Bellinzona non sono l’Italia, certo, e tuttavia leggere le preoccupazioni di Prodi serve a riflettere anche sulla nostra realtà, poiché in questo contesto di crisi strutturale e di progressivo avvicinamento territoriale con altre realtà (vedasi Alptransit che riduce i tempi di percorrenza verso Nord) occorre ragionare su un serio piano di investimenti per evitare il sottosviluppo del nostro territorio, con il conseguentemente aumento dell’emigrazione dei nostri giovani in altri cantoni se non addirittura all’estero. Il Partito Comunista da anni ha promosso – spesso inascoltato – delle riflessioni sull’importanza di una riconversione strutturale verso un’economia ad alto valore aggiunto, che è per noi una produzione destandardizzata, frutto di una manodopera altamente formata e consapevole dei suoi diritti, la quale permette di produrre un bene considerabile un unicum sul mercato. Per investire in questo senso ci vogliono però i soldi e gridare “al lupo” con la classica politica delle “casse vuote” da parte dei partiti borghesi non aiuta.
Il Partito Comunista propone investimenti pubblici nella ricerca universitaria in campo industriale promuovendo la connessione in rete di aziende spin-off improntate all’innovazione di altissimo livello, sulla base di una programmazione diretta da parte dell’ente pubblico, con un occhio di riguardo alle relazioni internazionali che, anche se in apparenza non c’entrano con la politica comunale, sono strategiche: il Partito Comunista da tempo sta analizzando la questione della cooperazione internazionale con i paesi emergenti, i BRICS, ma anche con l’area euroasiatica. È verso e da questi paesi che possiamo destinare investimenti, creando joint-ventures soprattutto in ambito tecnologico ed innovativo, rendendo così il nostro Cantone, e ora che ha raggiunto una certa massa critica, persino la nostra stessa città, la Nuova Bellinzona, un ponte tra est ed ovest (evitando di lasciare a Lugano il monopolio in questo ambito)!